Meno male, una panchina all’ombra. Sfuggo alla tirannìa d’un bar, cioè pagare il semplice star seduto con un caffè controvoglia.
Il viale di tigli è esausto. La brezza sospinge buste vuote in cellophane, carte d’ogni tipo, residui del mercatino settimanale.
Osservo la fatica quieta e metodica d’un uomo in età, forse i miei anni o anche di più. Scuro di pelle, bianco di crine e di barba. Veste ampio e sgargiante, la stessa roba che vende. Smonta pian piano il gazebo, col bastone ungulato cala i vestiti e li riaggancia, uno ad uno, nel furgone. La scaletta è traballante e la sua pancia forse inadatta all’equilibrio, ma è abituato, se no come farebbe? Il vecchio furgone Renault si stipa all’inverosimile. Ringhia il vecchio diesel, e un po’ puzza, lenta manovra e poi sparisce, in fondo al viale. Allegra la fiera il mattino, ma alle due e mezzo del pomeriggio le vedi, quelle vite durette, che ci vivono su.
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