Wanderlust

Due righette sul libro di Paolo Pasquali “Wanderlust”, frammenti d’altrove, il sottotitolo. Edizione “Il mio libro”. Prefazione di Amerigo Lualdi, penna di qualità, sincerità e stile.

“Verde scuro e liane protese a toccare le nuvole basse cariche di pioggia, pioggia non temuta dalle rematrici, farfalle colorate, le donne in piedi a spingere e pagaiare barche filiformi che a prima vista non davano l’idea di scafi stabili. La loro leggiadria, quella sì che era sicuramente duratura, tramandata da madri e nonne, donne che per generazioni hanno venduto sull’acqua del Mekong quello che coltivavano nelle piantagioni tra le anse del grande fiume che ramifica la foce in intricate vie d’acqua…” (pag. 76)

L’amore per la donna, la sua profondità, in connubio con l’acqua, le acque. Paolo ama la femminilità, potente e lievemente misteriosa. Vite dure, ma osservate con elegante rispetto.

Qui in Laos, la descrizione del luogo, il riferimento a al lavoro incessante delle donne, si intreccia ai ricordi personali più intensi, il ricordo del padre, dall’autore con virile dolcezza accudito alla fine dei suoi giorni.

“Brezza, caldo, rane nel buio. Passeggio tra le capanne e sulla riva le donne, mai a riposo, lavano i panni tenendo sotto controllo i bimbi più piccoli che canterellano sulle verande. Un uomo anziano fuma guardando un punto imprecisato nel ‘cielo che imbruna’ – direbbe Leopardi – e quell’uomo mi ricorda mio padre mancato da poco. Bruno era il nome di mio padre” (pag 67)

Frammenti di ricordi, nel mentre del viaggio. Fra uomini che hanno lavorato una vita, ci si guarda le mani, e più che mai un figlio osserva quelle del padre.

“Abbandonare la corsa, prendersi un attimo di riposo, tirare il fiato. Erano scomparse le rughe dalla sua fronte e le sue mani diventavano ogni giorno sempre più affusolate e morbide, come se nella vita avesse lavorato come impiegato. Nella realtà quelle mani avevano conosciuto martello e chiodi, avevano confidenza con sassi e cemento, calli e setole. Quelle mani identiche a quelle di suo padre […], le mani che ora assomigliano alle mie” (pag. 69)

La terra, la sabbia, il cammino sulle rocce, il cielo vasto dai colori cangianti. Paolo ha percorso, col sudore e la pazienza, un cammino che è poesia incarnata, poesia vera che è nelle gambe, nel respiro, più che nel pensiero comodo alla scrivania.

Spesso è l’acqua, l’ambiente fluviale, quel che mi ha rapito nel leggere. Prendiamo ad esempio gli appunti di viaggo su Ganvié, villaggio palafitticolo nel sud del Benin. Anche qui la donna, madre della vita, impersonificata di Madame “Emme”.

“… è una donnona enorme seduta su uno scranno di legno scolpito che pare modellato in modo da contenerla tutta. […] vestita con un abito giallo e rosso e un fazzoletto annodato in testa. L’oro della collana e degli orecchini sono fantasie forforescenti nella notte color pece della pelle. […] Su quest’isola artificiale è stata corteggiata, amata, qui ha partorito queste piccole schegge d’ebano vestiti come principi ereditari. […] Sacerdotessa acquatica, sirena oversize, forse madre capostipite di tutti questi bimbi che passano sulle piroghe. Lei è l’ape regina. Le unghie dei suoi piedi sono artigli smaltati di rosso. (pag. 57)

Il racconto di Paolo è intessuto nel dialogo interiore fra ciò che vede e quel riverbera in lui, un emozionante filo diretto fra ciò che gli appare e il suo demone interiore di viaggiatore che non viaggia per la destinazione, ma per la magia dell’andare. Un incantevole esempio in questa immagine femminile sull’acqua:

“Una ragazzina vestita di bianco rema e canta una melodia che mi sconquassa l’anima” (pag. 55)

Paolo, ovviamente, l’ho conosciuto al bar. Solo al bar conosci gente così.

Ma nel libro c’è molto altro, non bastano le mie righette, leggetelo.

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meno scrivo, meglio è
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2 risposte a Wanderlust

  1. Paolo P. ha detto:

    nelle tue mani tutto diventa poesia… grazie
    Paolo P.

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