sorride, nell’intercapedine del tempo

Mamma, quelle rare volte che ti parlavo, acerbo studente, la testa ingombra di arroganti intellettuali certezze, ti chiamavo Mamma. Per esteso, ho sempre trovato sciatto chi chiama “Mà” sua madre, come uno schioccare di domestica ciabatta. Mamma quarant’anni fa, ti ho vista calare nella fossa, con le corde dei becchini. Quarantadue anni fa per la precisione. Pochi giorni fa papà è morto. In questi quarant’anni abbiamo spesso parlato di te. Lui diceva che eri la migliore, la più allegra, la più intensa, sapevi vivere intensamente, sapevi scherzare anche nel dolore. Oggi sei di nuovo qui, proprio pochi giorni che lui è andato via, col doppio dei tuoi anni allora. Tu che torni e lui che parte, sembra che i quarant’anni siano compressi, una sottile intercapedine di tempo. Non mi chiedere cos’è, si chiama smartphone, ma tu non li hai mai visti. Certo, comprendo il tuo stupore, di fronte a un figlio scemo, un anziano che parla rivolto ad un’urna. Ma la tua cenere, son convinto, sorride silenziosa.