un libro dedicato agli [altri] animali

Andavo al nord Italia. Nella pianura, in autostrada, mi sorpassò un camion di quelli che portano il bestiame. I musi tristi di quelle povere bestie, intravisti o sporgenti dalle stanghe, m’arrecò (come sempre) un certo disagio, quasi un sottile senso di colpa.

Penso che in molti, anche fra quanti si attardano sulle mie righette, abbiano un certo orrore per i molti eccessi del comportamento degli uomini verso gli animali. Ma al di là dei buoni sentimenti ed anche di iniziative peraltro apprezzabili, non è così facile trovare riflessioni radicali, che vanno dritte al cuore del problema: una cultura che per secoli, o meglio per millenni, ha travisato, enfatizzato, tracciato un confine fasullo e crudele fra gli animali d’una specie (la nostra) e le altre. Ma il confine, lo steccato, il reticolato, il fossato più profondo, lo scopri nelle parole. E un filosofo potente e radicale come A.G. Biuso va dritto alla parola fondamentale: animale.
Non è una novità che le parole sono importanti. Anche in questo ambito, il rapporto fra umani e non umani, una parola diventa affilata e tagliente separatrice. L’inganno sta nel barattare per biologico ciò che è invece ideologico.

«Animale è dunque una parola pensata per il dominio, è un concetto/suono includente ed escludente. Includente tutto ciò che vivendo soffre ma non è umano e che, se ne deduce, puo’ pertanto diventare strumento, sacrificio, cibo, vittima del signore umano. Escludente dal perimetro semantico una sola specie, la nostra. Animale è un significato al quale non corrisponde un’accezione biologica ma un significato politico» (pag. 125)

Certo ogni pensiero intorno all’animalità è contiguo, incardinato, correlato al pensiero intorno all’umano. Il problema scaturisce dall’umano, dalla difficoltà di accettarne la reale condizione, la finitudine che lo contraddistingue e che in tutti i modi si cela con infinite, disperate, mai risolutive, utopie. Infelicità e coscienza sono fatalmente correlate.

«L’umano è infatti frutto della materia, l’ente in cui l’infelicità del mondo diventa coscienza. La sua colpa non è d’esistere ma di nascondere pervicacemente a se stesso la propria condizione. […] La rimozione della finitudine crea l’utopia col suo necessario corollario: il macello.» (pag. 113)

Il testo contiene molti riferimenti, tanto alla storia culturale (come sempre un amore mai deposto da Biuso verso i Greci e la loro accettazione della finitezza umana), quanto alle acquisizioni della scienza.
C’è molto nel testo, non voglio esser troppo lungo. Accenno solo all’esplosiva questione del genoma dell’uomo di Neanderthal. Detto in parole semplici: analizzando il genoma di questi umani ritenuti definitivamente estinti si è scoperto che la mescolanza di geni fra noi e loro è stata intensa, e intensa al punto da essere una vera e propria ibridazione. Come dire, gli umani se dicenti sapiens non sono ben definibili in assoluto, non sono l’ultimo elitario gradino di una scala (che non c’è), sono solo una delle innumerevoli fasi del processo magmatico e unitario della vita.

Quelle povere bestie sul camion per certo son da tempo passate, a pezzi, sui banchi del supermercato o tritate chissà come. Pazienza, ma almeno questo libro cerca di capire nel profondo, dal principio, la scaturigine di questo errore/orrore.

Alberto Giovanni Biuso
Animalia
Ed. Villaggio Maori, Catania 2020
pp. 184

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4 risposte a un libro dedicato agli [altri] animali

  1. Paolo Popof ha detto:

    Accoppiamo spesso al termine animale la parola bestia, per sortirne l’inferiorità, ma altrettanto spesso viene citata la bestia umana.

  2. Biuso ha detto:

    Un bel dono mi hai fatto, caro Diego, con questa tua riflessione, profonda nella sua sintesi e rigorosa nell’indicare il senso del libro.

    • diegod56 ha detto:

      Ciao caro Alberto, approfitto che ti sei collegato per invitare eventuali amici che mi leggono a vedere gli approfondimenti, cliccando sul tuo Nick

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