mamma deve poter dire «uffa!»

Scrivo le prime righe pensando ad una persona reale che vedevo spesso perchè abitava vicino. Una bella donna, con due bellissime e simpatiche bambine, bionde e rotondette come lei. Una donna fortunata, un marito serio e gentile, due bimbe vispe e sane, una vita non agiata ma comunque di certo senza ristrettezze economiche. Qualche volta però era stanca, qualche volta anche le bambine, che pure adorava, le davano fastidio. Ma presumo che non osasse mai confessare i suoi momenti di stanchezza. Perchè a una donna fortunata di solito si risponde col muto rimprovero, se si lamenta. Esser madre (o esser mamma, che non è la stessa cosa) è una faccenda complessa, dove si intrecciano biologia e cultura, dove chi vive questa per molti versi bellissima esperienza si trova nel mezzo anche di conflitti, contraddizioni, aspettative, rimpianti.

La maternità è oggetto di un denso dossier nel numero 137 (maggio 2016) della rivista «Mente&Cervello», e accenno qui a due articoli che sollevano interessanti e a tratti impreviste prospettive. Il primo articolo, a firma di Paola Emilia Cicerone, ha per titolo: «Di mamme ce ne sono tante» e trae lo spunto dalla raccolta d’esperienze autentiche, dal racconto sincero che le madri, quando trovano l’interlocutrice giusta, offrono della loro esperienza. Anzitutto, nonostante la gioia di mettere al mondo una creatura, non è così semplice, così «naturale» adeguarsi alla sua presenza.

«Quando è nato mio figlio mi sono vista catapultata in un mondo in cui tutti, comprese le donne della mia famiglia, sembrano sapere perfettamente chi devi essere e che cosa devi fare. Dando per scontato che quello che hanno fatto loro valga per tutte.» (pag. 28)

Il contrasto che emerge (ed emerge a fatica per il pudore di confessare la propria inadeguatezza) è quello fra un’icona materna idealizzata, una madre perfetta che tutti si aspettano e la donna reale, con i suoi dubbi, il suo desiderio di respirare ogni tanto, il suo essere una persona comunque, non solo mamma ma anche donna. Il tutto complicato da un sottile senso di colpa, specie se non si è mai confidato le proprie debolezze.

«Tra la rappresentazione “politicamente corretta” della maternità, fatta di madri perfette e di sentimenti ideali, e il racconto fedele, a volte drammatico o rassegnato delle neomamme reali corre tutto un vissuto di ansie, solitudini, smarrimenti che rende l’esperienza personale molto diversa dalla patina stereotipata e generica del racconto comune» (pag. 29)

È importante valutare anche come è mutata nel tempo la gestione del figlio, il modo in cui la comunità si rapporta con il bambino. In passato i figli erano della comunità. Ricordo molto bene io stesso i lunghi pomeriggi nel cortile delle case operaie a giocare con gli altri bimbi, ogni mamma, affacciata alla finestra, era la mamma di tutti. Oggi abbiamo una privatizzazione del bambino, altro che giocare in cortile: lo devi portare a judo, a lezione di questo e quello, in cortile non ce lo mandi più, anche per paura.

«Nel modo di vivere il rapporto con i figli, qualcosa è cambiato. In un passato non troppo lontano i bambini nati in famiglia abbienti o semplicemente borghesi erano affidati a balie, tate, istitutrici o collegi, mentre gli altri erano piccoli dulti che contribuivano prima possibile al bilancio familiare. Oggi c’è una crescente attenzione ai bambini e alle loro esigenze, e il confronto è con un modello poco realistico, la “famiglia del Mulino Bianco”, che genera ansia da prestazione.» (pag. 34)

Sono molto convinto che le madri non debbono esser lasciate sole ad occuparsi dei figli e credo anche che bisogna accettare, interiorizzare, l’idea che una madre non è una martire che se non si vota totalmente ai figli è una cattiva madre. Una buona madre deve essere anche una donna, se possibile una donna completa.

L’altro articolo, a mio avviso assai itruttivo, sempre a firma di P.E. Cicerone, ha un titolo esplicito: «Figli? No grazie». Tratta una figura che, ancora oggi, è oggetto di giudizi talvolta sprezzanti oppure patetici: la donna che non vuole diventare madre. In lingua sarda «Lunàdigas», lunatiche, è il termine che i pastori usano per le pecore che non figliano, animali non necessariamente sterili, ma che si rifiutano di procreare. Nicoletta Nesler e Marilisa Piga prendono il termine in prestito per un loro progetto (www.lunatigas.com) che si concretizza in un ampio lavoro di raccolta di testimonianze. Il primo aspetto interessante è che una volta aperto il canale di comunicazione le testimonianze, anche liberatorie, sono state numerose, copiose oltre le aspettative.

«Il problema del giudizio altrui esiste: molte donne di varie età parlano dell’insistenza con cui viene loro magnificata la maternità da familiari e amici, particolarmente quando sono in età in cui è ancora possibile cambiare idea. Un’insistenza che a volte diventa petulante, e genera fastidio. Ci sono persone che sembrano incapaci di accettare che una donna semplicemente possa non desiderare figli.» (pag. 41)

Fortunatamente il pensiero comune è un po’ cambiato è, seppur faticosamente, sono sempre più le donne che vivono la loro scelta senza sensi di colpa. Io penso che esser madri sia un’esperienza meravigliosa (tra l’altro negli articoli si accenna anche ad un certo istinto materno maschile, mi si perdoni l’ossimoro, che pure esiste e non va inibito quando c’è), un’esperienza meravigliosa ma non un’esperienza facile, una galoppata trionfale nella felicità, bensì un percorso complesso durante il quale è importantissimo anche accettarsi, non fustigarsi nei sensi di colpa. Una mamma deve poter dire «uffa!» ogni tanto e lasciar che il papà o la tata si destreggino un po’ nella faccenda.

Certo son temi complessi, e per me ormai sarebbe più indicato un «manuale del bravo nonno». Ci spero, ma non lo chiedo alle figliole, che assecondino le loro inclinazioni senza temere il mio giudizio.  

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7 risposte a mamma deve poter dire «uffa!»

  1. poetella ha detto:

    post perfetto.

    • diegod56 ha detto:

      grazie L., sono appunti che prendo dalle mie letture, in realtà questo blog nacque con questo semplice intento

  2. Interessante e utile. Io avrei voluto un figlio ma mi era stato sconsigliato. Non ne ho fatto una tragedia. Una donna può realizzarsi anche senza essere madre. Ribloggo.

  3. L’ha ribloggato su La principessa sul piselloe ha commentato:
    Interessantissimo!

    • diegod56 ha detto:

      Il tema delle donne che avrebbero voluto un figlio e non l’hanno potuto avere è una tematica importantissima, anch’essa trattata nel dossier; ritengo che sia una componente importante del mondo «materno», e la capacità di elaborare il problema una questione fondamentale, sicuramente la tua opinione, Marina carissima, è importante non poco

  4. ontanoverde ha detto:

    siamo programmate per fallire: la pubblicità ed i media come pure i genitori ci inculcano a tutti i costi una figura ed un ruolo che è insostenibile per una persona normale, la donna perfetta: moglie, madre, amante, amica, consigliera che è SEMPRE a disposizione, viene sbandierata ed esaltata ma non è reale… Le donne sono forti e spesso a loro scapito riescono a farcela, per lo più annullando se stesse per il “bene” della famiglia, ma quanto bene fa alla famiglia tutto questo stress?? Personalmente mi sono “dimessa” nel 2005 (50 anni) da ruolo di madre e di moglie, facevo quello che riuscivo a fare, ma senza STRA-FARE ed ho anche preso mezza giornata di libertà dalla mia famiglia, incrociando le braccia per tutto il pomeriggio della domenica (passato per lo più sul divano di casa a leggere un libro) e lasciando che mio marito si sbrogliasse tra cena, piatti e frittate, che i bambini anche ormai cresciuti accoglievano con meraviglia ed entusiasmo tanto che sembrava mio marito fosse un novello Bocuse. In medio stat virtus. Dobbiamo fare un esame di coscienza e pretendere di essere supportate da chi ci vive accanto, educando i figli a collaborare fin da piccoli, è essenziale, anche per farli crescere indipendenti e maturare e non stare sempre come zecche a succhiarci il sangue. Inoltre è fondamentale il rispetto per “gli spazi di Mamma” : rispetto per rispetto!
    Rispetto anche le donne che scelgono di non avere figli, perché probabilmente hanno avuto una formazione e disinformazione errata di quello che può essere la maternità o ne hanno semplicemente paura o non ambiscono a dipendere dal cordone ombellicale che ad un figlio ti lega per la vita.

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