«Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli» (Mt 19, 15)
Fra le persone che hanno l’avventura di conoscermi vi sono anche dei credenti. Ovviamente per un credente è centrale la figura di Dio (anche per un non credente, ma su questo sorvoliamo, ora). Ho constatato una grande differenza di prospettiva fra i credenti colti e i credenti non attrezzati d’un bagaglio culturale elevato. Per i credenti non istruiti Dio c’è, sta sullo sfondo, tutta la questione è cercare di comportarsi come si deve, pregare, ogni tanto chiedere una grazia, magari pregando non Dio stesso ma qualche santo più vicino, più prossimo alle proprie tradizioni locali. Il problema principale è resistere un po’ alle tentazioni, nella consapevolezza che la carne è debole, ma Dio non è un problema, non è il problema. Per i credenti colti, quelli che hanno fatto il classico e hanno sulla groppa degli anni un bel po’ di libri, la questione di Dio è ben più complessa. Dio non è lì, bene in vista sulla credenza (doppio senso…) del salotto buono, è un Dio più nascosto, più profondo. Ecco che emergono due parole belle ma che manifestano la complessità: la ricerca e il cammino. Il cammino che significa un percorso lungo, a volte in salita. Prima della vetta da cui ammirare il vasto paesaggio c’è da faticare, sudare, temere di non farcela. La ricerca poi, è la parola che definisce la potenza della domanda e l’incertezza della risposta. La fonte è nascosta, se trovi lo zampillo sarà bello dissetarsi, ma a tratti qualcuno lascia intendere che la ricerca è la condizione perenne, il cammino è l’essenza della fede. Fra i due tipi di credente c’è sempre un po’ di reciproco sospetto, ma il bello dell’uomo è la grande capacità di essere una cosa e il suo opposto. Non so se sono credente, ma queste faccende mi piacciono, sono un religioso per natura, physis.
Caro Diego,
sono un credente, non ho fatto il classico (Istituto Tecnico Industriale), mi è sempre piaciuto leggere (ma non so se ho letto i libri giusti, né d’altra parte mi interessa). Non so in quale delle due categorie collocarmi (e personalmente non mi piace essere messo in nessuna categoria ad eccezione di quella “essere umano”).
Per me Dio è il Padre rivelato dal Figlio Gesù. E quel ‘rivelato’ lo vivo nel doppio significato di ‘spiegato, mostrato’ e di ‘velato nuovamente’. È un Dio sempre presente, ma quasi mai come me lo aspetto.
Mi piace molto l’immagine del cammino. Per me è proprio un cammino, ma in cui l’importante non è la meta, ma il cammino stesso. Non mi importa dove questo cammino porterà (né al limite se porterà da qualche parte) l’importante è essere su questo cammino che è la vita. L’ansia o la preoccupazione della meta corrono il rischio di farti perdere la bellezza di ogni passo, di ogni momento del cammino.
Pace e benedizione
Julo d.
caro Julo, ti collocherei più nella seconda fattispecie, ovviamente un ragionamento sulle «due fedi» è sempre schematico, certamente tutti i «colti» hanno molta attenzione al cammino, basta pensare ad Agostino
da non credente: validi spunti di riflessione, ma non sono così sicuro che le due figure non si “mescolino” più frequentemente di quel che si possa pensare. la soglia, forse, potrebbe piuttosto essere su quanto il “timor di dio” condizioni il proprio agire quotidiano.
senz’altro, hai ragione, si mescolano nell’esperienza quotidiana e anche nel vissuto dei credenti, diciamo che la mia riflessione serve per avere delle coordinate di ragionamento su questo tema, anche se io sono personalmente più interessato alle riflessioni dei credenti «filosofi» per così dire