Quando sono triste non scrivo. Così quando rileggerò le mie cosette, mi sarà facile convincermi d’aver vissuto felice.
In fondo è una incredibile fortuna che un numero immenso di atomi si sia incardinato in un enorme aggregato di cellule, agglutinate in un organismo complesso e, ad un certo punto, un complicato brulichìo di sinapsi abbia posto in essere me che penso, che provo la sensazione di esistere.
Stasera osservavo il cielo striato di rosso, oltre le gru del porto. Provavo il piacere di vedere, ed esserci a vedere. Eppure io sono fatto di chimica, come tutto, ed è davvero incredibile, bellissimo, percepire di esistere. Alla vita, guai a farci l’abitudine.
e continuiamo a meravigliarci…
così va bene.
Dico io.
ciao poetella, grazie
ciao, Diego…
Una sensazione di sconfinata familiarità.
«sconfinata familiarità»
interessante, cara cecilia d., quasi una contraddizione, eppure le sensazioni più cosmiche si afferrano nei dettagli, in momenti apparentemente insignificanti
avevo in mente spinoza, ma non sono in grado di scrivere citazioni all’altezza, e allora mi arrangio con un po’ di filosofia artigianale
Più semplicemente riconosco le medesime esatte sensazioni vissute soprattutto un tempo, e che talvolta vivo ancora, quando la chimica fa pesare tutto il suo lavoro nel mio cranio.
ho capito, cara c.d.
Anche io preferisco non scrivere quando sono triste. Sarebbe la tristezza a scrivere per me… idem per la felicità…
in effetti non credo che la tristezza aiuti a scrivere qualcosa di valido
magari fa bene come cura, è un legittimo sfogo, ma il risultato è modesto