margin call, di j.c. chandor, USA 2011
ottima fotografia, atmosfera da bunker (anche se non è sotterraneo ma è un grattacielo), attori piuttosto intensi, ma misurati nei gesti
tutto avviene praticamente in una notte, l’ambiente è quello dell’alta finanza anche se io credo che al regista importi poco la vicenda in se stessa, abbastanza prevedibile per lo spettatore, quanto l’atmosfera, lo stile, quel senso di ineluttabile assurdità che tutto avvolge
qualche dialogo interessante, specie quando si accenna agli «altri», alla cosiddetta gente normale, quando per fugare ogni timido sospetto d’essere in colpa, i moderni avvoltoi cercano di convincersi che in fondo tutta la società è colpevole (anche se, ovviamente, le cose non stanno così)
ma non è l’aspetto politico, seppur presente, la chiave di questo film
il tutto è calato in una prospettiva che ricorda la tragedia classica, in particolare eschilo: c’è un destino, c’è che un modo in cui andranno le cose, e sempre andranno così
anche la quasi unità di tempo e luogo (una notte, un grattacielo) richiama la tragedia attica
il grande capo, che non a caso arriva e riparte in elicottero, dal cielo, e vive costantemente agli ultimissimi piani di un grattacielo, pare quindi un dio, un dio del nostro tempo, ma in realtà candidamente ammette che nulla puo’ fare, se non portare l’imbroglio alle estreme conseguenze
il ritmo del film è lento, quasi compassato, lo stile notevole, sono convinto che il regista abbia scelto l’alta finanza perchè si presta a questo tipo di ambientazioni in una metarealtà, e non per il messaggio politico, che è abbastanza scontato negli usa, di questi tempi
quindi direi, un film da vedere, ma cercando di vedere il film e non pensare ad una puntata di report
se ti piace il genere e non l’hai visto consiglio inside job. tremendo.
sia un buon we,
grazie giovanni, terrò presente, qua e là mi sembra che si trovino spesso paragoni fra i due film